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GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

La CEDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 sotto il profilo non sostanziale, bensì procedurale: mancata inchiesta effettiva, mancati elementi per individuare la violazione dell’art. 3 sotto il profilo sostanziale.

La condanna allo Stato italiano è stata pronunciata anche per violazione dell’art. 6: in primo luogo perché la Knox non era assistita da un difensore nel corso delle dichiarazioni del 6.11.2007, sebbene fosse già destinataria di accusa penale secondo i criteri della Convenzione.

L’ulteriore condanna riguarda la violazione del diritto all’assistenza di un interprete. L’interprete fornito, difatti, non si era limitato ad eseguire l’incarico conferito, ma aveva svolto una indebita attività di “mediazione”, elemento che sebbene portato ripetutamente all’attenzione delle autorità nazionali non è stato oggetto di approfondimenti.

La Corte di Strasburgo ha, quindi riconosciuto a favore della ricorrente un risarcimento di euro 10.400, ma non ha disposto la ripetizione del giudizio (c.d. clausola Ocalan).

La CEDU condanna l'Italia per il reato di tortura

CEDU, 26 ottobre 2017, Azzolina ed altri vs Italia

L’articolo 3 cedu sancisce il generale divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello processuale.

Sotto il profilo sostanziale, la Corte afferma che la violenza inflitta in modo indifferenziato, sistematico, continuato, organizzato e manifestamente sproporzionato, al punto tale da ingenerare “una sorta di processo di disumanizzazione che riduce l’individuo a un qualcosa su cui esercitare la forza”, integra una palese violazione dell’articolo de quo (cfr. § 67). Violazione ancora più grave perché commessa da agenti dello Stato nei confronti di soggetti posti sotto la loro responsabilità: costoro, “tradendo il giuramento di fedeltà e adesione alla Costituzione e alla legge” (cfr. §53), indeboliscono la fiducia della popolazione nello Stato stesso.

Sotto il profilo processuale lo Stato è obbligato ad indagare, e a farlo in modo efficiente e sufficientemente approfondito (§263).  Nell’ordinamento interno, devono, quindi, sussistere fattispecie penali astratte, conformi agli orientamenti europei, idonee all’identificazione e alla punizione dei responsabili; il procedimento penale non deve avere interruzioni o prescrizioni; non si deve concedere, per tali violazioni, amnistie, indulti, o altri istituti di perdono giudiziale (così anche in Mocanu e altri c. Romania, n.10865/09 § 326, cedu 2014).

Principi disattesi dallo stato italiano, sia sotto l'aspetto sostanziale che processuale, per ciò che attiene i fatti di Genova in occasione del G8 del 2001. In particolare per la non predisposizione nell’ordinamento di una norma punitiva del reato di tortura, per il decorrere della prescrizione e per la concessione dell’indulto di cui alla legge 241 del 29 luglio 2006.

Affinché la riqualificazione giuridica del fatto operata in sentenza non risulti in contrasto con l'art. 6 CEDU, il Giudice deve procedere ad un triplice accertamento: 1) verificare che in concreto era stato "sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l'accusa inizialmente formulata nei suoi confronti fosse riqualificata", 2) valutare la "fondatezza dei mezzi di difesa che il ricorrente avrebbe potuto invocare se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti", 3) considerare "quali siano state le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del ricorrente".

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